“Mamma mia, come sei noioso.”
Disse Valentina alzandosi
in piedi e, ripiegando accuratamente il plaid che aveva adagiato sull’erba
umida della notte per non bagnarsi il vestito nuovo. Diede un’ultima occhiata
al cielo e un lungo sospiro al prato. Poi con un cenno del capo, un misto fra
il voler sistemare i lunghi capelli castani e un gentile invito ad andarmene a
quel paese, disse:
“Accidenti mi fai paura quando parli in terza persona e pure
al passato! Mi sembra di essere già defunta”
E’ il mio lavoro, lo sai.
“ Io torno al fuoco”
Io resto qui, si ha una
buona visuale d’insieme da questo punto.
“Fai come vuoi pignolo”
E scomparve dentro la
macchia d’alberi in fondo al prato che nascondeva il sentiero per il ponte di
legno che l’avrebbe riportata sullaltra sponda del fiume, dove il resto del
gruppo nove stava preparando il fuoco per cuocere la polenta e le salcicce.
Valentina dimostrava
qualche anno in meno dei suoi sedici, ma guai a farglielo notare: sarebbe stato
come cercare di disinnescare una mina antiuomo posandoci un piede sopra: una
pessima idea.
Io lo so bene, perché’
incautamente sfiorai l’argomento qualche tempo fa e non fu piacevole.
Solo limitatamente all'aspetto,
tuttavia, si sarebbe potuto osservare che Valentina avesse meno dei suoi sedici
anni, perché’ nei modi e nel carattere era certamente più grande.
Dotata di un’acuta
intelligenza maturata in un’arguzia pungente e di un indomabile spirito
d’osservazione mescolato a un’energia inesauribile che sembrava ella traesse
dalla terra stessa, Valentina non stava mai ferma un attimo: capace dei più
arditi voli di fantasia e delle più astruse imprese, non era mai paga di una
situazione; sempre alla ricerca di qualche nobile vocazione in cui gettarsi a
capofitto o di qualche malaugurato da salvare. Da cosa poi, il più delle volte
non lo si sarebbe potuto dire con certezza.
Gregorio non era un
ragazzo di quelli che si notano subito; se ne stava spesso tranquillo in
disparte, tuttavia non era il classico tipo timido, schivo e imbarazzato. Per
nulla.
Lui semplicemente se ne
stava li, come inebetito, assorto in chissà quale pensiero.
Gregorio era i suoi occhi
e le sue mani. E Valentina lo sapeva bene. A lei non sfuggiva nulla e non
poteva non raccogliere la sfida di quegli occhi profondi e tristi come abissi
castani o non lasciarsi rapire dal movimento inusuale e ipnotico di quelle mani
dalle dita lunghe e affusolate, porte su mondi che lei sentiva di non aver
ancora esplorato.
Il fiume Evan scendeva
bianco come la neve del monte Taren, dalla quale traeva origine seimilaottocentoventisei
metri più in alto. Scendeva impetuoso fra rapide, gorghi e cascate, trovando
naturalmente il suo spazio fra alberi e rocce, fino ai Piani d’Azar,
dove si riposava in un ampio avvallamento e, sinuoso come le modelle del
Sirkada, accarezzava il grande prato di myosotis, dove non di rado si potevano
ancora ammirare le marmotte bianche uscire con circospezione dalle loro tane e
scendere per dissetarsi a quelle gelide acque.
Con un cupo ma piacevole fragore,
dopo essersi fatto strada fra i ripidi versanti boschivi del complesso del Vexor,
il fiume Evan attraversava il bosco della Luna, dove il gruppo nove aveva
stabilito il campo base e stava accingendosi a cucinare la polenta.
Il fuoco era venuto proprio
bene: grande e sfavillante illuminava tutto l’accampamento, proiettando ombre
irrequiete fra i rami e sui volti eccitati dei ragazzi.
Eccitati o semplicemente
affamati? In fondo l’arrampicata non era
stata delle più semplici e nessuno aveva toccato cibo nelle ultime diciotto
ore.
Gregorio stava appoggiato
ad un grande albero, incantato dal volo dei lapilli: li seguiva con lo sguardo
dall’istante in cui si staccavano dal fuoco fino a che non scomparivano spegnendosi
alti nel cielo della notte.
A un tratto una luce più
intensa e più bianca si staccò dal cielo: lo sciame di meteore era ormai
prossimo all’atmosfera.
Gregorio si guardò per un
attimo intorno, come per controllare che nessun altro l’avesse vista, poi in
silenzio espresse un desiderio.
Come previsto si sentì un
po’ stupido a fare una cosa del genere; sapeva che si sarebbe sentito così, ma
era una cosa che aveva sempre fatto, fin da bambino. Gli ricordava suo padre.
“Che desiderio hai espresso?”
Si voltò di scatto. Come
se l’avessero svegliato di soprassalto da un sonno profondo. Abbassò lo sguardo
dal cielo e lo posò dritto negli occhi di Valentina.
Lei arretrò quasi dovesse
consolidare una posizione d’equilibrio fattasi improvvisamente incerta. Era
come se da quegli occhi spalancati in un’innaturale espressione interrogativa
fosse uscita una forza che l’avesse spinta bruscamente indietro.
Si sorprese ad esplorare
quello sguardo e le parve di scorgere, dietro lo stupore, un velo sottile di
rimprovero e una lacrima di malinconia.
Poi le pupille di
Gregorio si restrinsero per adattarsi alla nuova condizione di luce e, nel
mettere a fuoco il volto di Valentina illuminato dai riflessi del fuoco e della
luna, apparve, dietro a quegli occhi il viso, con l’espressione imbarazzata di
chi si fosse sentito violato o vulnerabile, ma forse solo perché’ sorpreso a
contemplare le stelle come un bambino.
“Se te lo dico, non si
avvera”
Disse con un tono
forzatamente serio che avrebbe maldestramente dovuto suonare autoritario.
“Dai, dimmelo! Alla
prossima stella lo puoi esprimere di nuovo e non me lo dici più. Anzi, sai che
facciamo? Lo esprimo io per te”
Disse Valentina
registrando, ma catalogando come privo di rilevanza il tentativo di Gregorio di
mascherare quel lieve imbarazzo.
“Non riesco a capire cosa sia
veramente importante per me.”
E mentre diceva queste
parole riportando lo sguardo al cielo, Gregorio si fece serio, davvero questa
volta. Si scostò dall’albero al quale era stato appoggiato tutta la sera e si
diresse verso un piccolo praticello fra gli alberi che non era raggiunto dalla
luce del fuoco. Nel volgerle la schiena per intraprendere lo stretto sentiero
fra i cespugli fece un cenno a Valentina come a invitarla a seguirlo.
Immotivatamente Valentina
esitò per un istante, come se ci fosse qualcosa da temere ad allontanarsi pochi
metri dal fuoco, sebbene con Gregorio avesse combattuto battaglie in missioni dalle
quali nessun soldato avrebbe avuto la minima possibilità di tornare vivo.
Non c’era posto al mondo
in cui non si sarebbe addentrata o battaglia che non avrebbe avuto il coraggio
di affrontare con Gregorio a coprirle le spalle, ma questa volta non c’era il
suono dell’artiglieria a distrarla, non c’era la guerra a proteggerla e lui non
era lì per coprirle le spalle dal fuoco nemico.
Gregorio si voltò e
Valentina, sorpresa a scrollarsi di dosso quella fastidiosa sensazione di
turbamento, lo seguì attraverso il bosco.
Il crepitio del fuoco
svaniva, lasciando spazio al suono del fiume come fosse l’eco di un tuono
lontano. Il cielo filtrava dai rami e le stelle viste dal sentiero
riacquistavano la loro naturale luminosità.
“Da qui potrai vedere la
tua stella”
La voce di Gregorio proveniva
dalla macchia buia al centro del praticello.
In effetti, il soffitto
di rami si andava via via diradando, come una piccola falla nella fitta trama
del bosco, tuttavia grande abbastanza da lasciare ammirare gran parte della
volta celeste adagiata sul versante Nord del massiccio del Tor. E Valentina
s’accorse di poter scorgere tutte le stelle del cielo, anche le più lontane e
flebili, in quella notte fredda e serena.
“Tu sai qual è il tuo più
grande desiderio, Vale?”
Valentina distolse lo sguardo
dal cielo per posarlo sulle mani di Gregorio che nel frattempo si era sdraiato,
scomparendo fra l’erba alta. Sdraiato, guardava quella cupola di stelle, e
parlava disegnando il profilo dei monti con le dita; così le mani, illuminate
dal cielo, erano l’unica cosa di lui che spuntava dai lunghi steli verdi.
A valentina venne in
mente l’immagine di un direttore d’orchestra, come se Gregorio dirigesse il
suono delle sue parole e il corso dei suoi pensieri con la punta di quelle
lunghe dita sottili.
Si diresse verso di lui e
si sdraiò al suo fianco.
“Non saprei Greg. Vincere la guerra?”
Poi si accorse che l’erba
era umida e si ricordò del plaid.
“Aspetta, sdraiati su questo, altrimenti alla tua età chissà
che mal di schiena ti prendi”.
E distese l’ampio
lenzuolo di lana scozzese sul prato, sorridendo scherzosamente.
A Gregorio piaceva quel
sorriso; lo vide brillare alla luce della luna mentre si adagiava su quel letto
di fortuna pensando
“...è così che vorrei
morire”
“Hai detto qualcosa?”
“No, niente, pensavo ad
alta voce... hai già visto qualche stella cadente?”
“No”
Silenzio.
“Quanti anni hai, Vale?”
“Lo sai, sedici...”
“No, sai cosa intendo”
“Ancora con questa storia? Lo sai che l’età anagrafica è
proibita. Solo quella biologica. Articolo quindici.”
“Sì, lo so, articolo
quindici, paragrafo ventidue:”
E, proseguendo in maniera
meccanica:
“ -Ogni assegnante è
concepito e programmato dalla nascita per servire la federazione come soldato
scelto, per questo motivo la sua Età Biologica Massima, è fissata in base
all’esito della selezione infantile. Al
raggiungimento della EBM, essa si sostituisce a tutti gli effetti all’età
anagrafica in ogni documento o comunicazione verbale e scritta. Da tale istante
è fatto divieto assoluto a ogni assegnante di comunicare o diffondere la succitata
età anagrafica.-“
“Accidenti, non so come
facciano a inculcarci tutti questi regolamenti nel cervello prima ancora che
prendiamo coscienza della nostra identità sociale”
“Ci sono regole e principi a tutela del vivere civile e noi
siamo qui per difenderli Greg, lo sai. Rivelare la nostra età anagrafica
vanificherebbe il senso stesso della nostra condizione di deriver oltre ad
essere un dato francamente irrilevante”
“Irrilevante? Sei davvero così
vecchia dunque?”
“Greg! Sei insopportabile. Comunque sei più vecchio di me.”
“Già ventiquattro anni
contro sedici. Sei proprio una bambina a volte”
“Smettila, lo sai che per le ragazze fissano mediamente un
EBM minore. Maturiamo prima caratterialmente e psicologicamente e possiamo
svolgere compiti che voi, cari maschietti, potete solo accontentarvi di
sognare.”
“Scusa, scusa, non ti scaldare. Scherzavo.”
“Anch’io scherzavo, lo sai che non mi arrabbio mai.”
“…e meno male!”
“Idiota”
“Stupida”
Una brezza leggera
piegava i lunghi fili d’erba svelando a tratti i due corpi distesi, mentre poco
distante Peter pazientemente girava la polenta con un grosso ramo accuratamente
ripulito da terra e corteccia.
“E’ quasi pronto,
fannulloni. Venite almeno a dare una mano a cuocere le salcicce?”
“Ma almeno la sai la tua età?”
“Certo che si!”
Rispose Valentina
infastidita che fosse messo in dubbio che non si ricordasse una cosa così ovvia.
“Perché’, tu no?”
“mmm, non ne sono sicuro,
sai, dopo tutto questo tempo non credo di saperlo più con esattezza”
“ma almeno saprai l’anno in cui sei nato no?”
“Certo, era il mill...”
“GREGORIO! Basta, me ne vado.”
Disse Valentina alzandosi
e facendo rotolare Gregorio fuori dal plaid con uno strattone.